Primi insegnamenti matematici

Gli insegnamenti matematici dell’Università di Ferrara cominciarono teoricamente con la stessa fondazione dello Studio generale da parte del papa Bonifacio IX nel 1391. I due papi di allora (Bonifacio e Clemente VII, poi dichiarato antipapa), si era all’epoca dello Scisma d’Occidente, facevano a gara per istituire nuove Università, per raccogliere fondi e sostenitori.

La bolla papale prevedeva che a Ferrara valessero le stesse regole dell’Università di Bologna. Quindi, ai sensi degli statuti bolognesi dell’Università delle arti e medicina degli inizi del Quattrocento, a Ferrara poteva attivarsi un insegnamento pluriennale comprendente alcuni libri degli Elementi di Euclide, due opere astronomiche: La Sfera del Sacrobosco e la Teorica dei pianeti (sommari dell’Almagesto di Tolomeo), la lettura delle Tavole astronomiche, l’uso di alcuni strumenti. Il docente era tenuto a fare gli oroscopi, anche agli studenti gratuitamente. La matematica era quindi legata all’astronomia pratica e non alla Filosofia naturale aristotelica, disciplina alla quale era epistemologicamente inferiore.

Questa situazione rimase sostanzialmente invariata per circa tre secoli, ma gli insegnamenti matematici nei vari periodi storici, pur essendo simile dal punto di vista istituzionale, seguì da vicino la qualità scientifica dei docenti.

Nella seconda metà del Quattrocento e nel primo Cinquecento Ferrara fu anche una capitale europea del Rinascimento scientifico con Giovanni Bianchini, Domenico Maria Novara, Niccolò Leoniceno.

 

Gli studi ebbero poi una caduta di qualità nel secondo Cinquecento (anche se per qualche anno Torquato Tasso e Francesco Patrizi insegnarono matematica) e principalmente nella prima metà del Seicento.

 

 

Una ripresa si ebbe nel 1675 quando la lettura di matematica fu affidata ad uno studioso gesuita di notevole valore Francesco Lana Terzi. Da allora per quasi un secolo la lettura di matematica, legata anche ad una lettura per formare i tecnici in materia di acque, fu affidata a studiosi gesuiti. L’ultimo di questi, Ippolito Sivieri, fu sostituito nel 1771 da Gianfrancesco Malfatti, con la riforma dell’Università voluta da mons. Giovanni Maria Riminaldi. Malfatti, matematico, di valore europeo (le sue opere sono state pubblicate nella collana dell’Unione Matematica Italiana dei Grandi Matematici), non fu il solo ad insegnare matematica. Alla sua lettura vennero affiancate due altre: una di Meccanica e idraulica per Teodoro Bonati, uno di Geometria pratica per Ambrogio Baruffaldi.

 

 

Si riteneva infatti che l’università non dovesse solo formare, medici, giuristi e teologi, ma anche ingegneri e architetti.